TANGO A SCUOLA IL TANGO ARGENTINO, UN LINGUAGGIO UNIVERSALE, TRA STORIA E CULTURA
Il tango è un linguaggio universale, è espressione e comunicazione corporea, è sinonimo di musicalità, è bellezza, è raffinatezza. Può, dunque, essere un antidoto al cattivo gusto che permea la nostra società, potenziando il senso del bello dell’armonia. E’ fusione di anime e di corpi, in un mondo di indifferenza e di ostilità. Il tango come terapia dunque, come comunicazione alternativa al linguaggio verbale, come acquisizione di equilibrio psicofisico, come apertura verso l’altro, come rispetto delle regole. E’ da smentire l’opinione comune secondo cui il tango sia maschilista, nella subordinazione della donna alla guida esercitata dall’uomo: nel tango c’è differenza di ruoli, ma valorizzazione di entrambi, c’è un complesso rituale che esalta i valori del rispetto e l’osservanza delle regole.
Le originiIl tango argentino è un viaggio nel tempo e nella storia, un sincretismo felice di culture e sensibilità diverse: dall’habanera, (ritmo introdotto dai marinai cubani); al candombe degli africani, (pervenuti numerosi dopo le paci di Utrecht del 1713/14 e il conseguente asiento de negros[1]; alla forte passionalità della musica italiana; ad alcune suggestioni della musica popolare tedesca. Il territorio argentino fu il catalizzatore di una fusione, destinata a conferire identità ad un popolo ibrido e privo di radici. Le più lontane origini sono da rinvenire nella Pampa, dove riecheggiava il canto dei payador, poeti improvvisatori di versi, che esaltavano i valori della sfida, del coraggio, dell’avventura. Queste suggestioni conquistarono la città conferendo al tango un’identità urbana. Radicatosi nei sobborghi, nella zona portuale e nei postriboli di Buenos Aires, furono accentuati gli aspetti provocatori, dissacranti, ribelli, anche attraverso la creazione di un linguaggio originale, il lunfardo (lunfa=delinquente), mescolanza di vari dialetti, in gran parte italiani (secondo alcuni lunfardo deriverebbe da lombardo), per rendere incomprensibili le espressioni gergali alle autorità. Si definisce così il personaggio del compadrito[2] simbolo di valori trasgressivi e vitalistici, protagonista di storie di coltelli, di sfide, di morte, che trovano la loro rappresentazione nel tango, espressione di destrezza e di forza. Progressivamente il tango si emancipa dalle sue origini popolari, degli aspetti più lascivi e trasgressivi delle sue movenze, soavizza i suoi ritmi e guadagna le città europee: tra il 1910 e il 1920, debutta e trionfa a Parigi, diventa una moda che contagia l’Europa: i suoi musicisti non improvvisano più, ma sono diplomati al conservatorio, le sue movenze, non più manifestazioni di istintiva destrezza, sono frutto di studio attraverso figure riorganizzate, gli aspetti più licenziosi e sfacciati decantano in un gioco sottile e raffinato di seduzione, le canzoni improvvisate ed anonime, trovano forma in una partitura interpretata da musicisti professionisti. In seguito, con la diffusione nelle capitali europee e presso le classi elevate, si definisce il ruolo delle donne. Viene dunque elaborato un codice di comunicazione (marcaziòn), con cui l’uomo guida la compagna, assumendo anche la responsabilità della direzione di ballo. Oggi il tango argentino ha conquistato il mondo e, affrancandosi da ogni definizione spazio-temporale, costituisce un codice universale di comunicazione. Diviene metafora della vita, con le sue categorie: amore, gelosia, odio, nostalgia, gioia…i tre minuti della durata della canzone bloccano il fluire del tempo nel desiderio di eterno.
Tango ed emigrazione “…ma non era ancora l’America: solo un prolungamento della nave, un frammento della vecchia Europa dove niente è ancora acquisito; dove quelli che sono partiti non sono ancora arrivati; dove quelli che hanno lasciato tutto non hanno ancora ottenuto niente e dove non si può fare altro che aspettare, sperando che tutto vada bene, che nessuno ti rubi i bagagli o i soldi, che tutti i documenti siano in regola, che i medici non ti trattengano, che le famiglie non vengano divise…” (Georges Perec, Ellis Island, 1955) Lipari è stata terra d’emigrazione. Si registrano due ondate migratorie dalle Eolie: la prima a fine ottocento e l’altra nel secondo dopoguerra. Nell’800 l’economia liparese era essenzialmente basata sulla lavorazione della pomice, destinata in maniera rilevante ai mercati inglesi, utilizzata prima come abrasivo nell’industria conciaria. La privatizzazione delle cave e la concorrenza interna aveva, in seguito fatto crollare i prezzi, generando scarsi profitti. L’altra essenziale attività economica era la produzione di malvasia, grazie alla rigogliosa produzione di viti, in particolare nell’isola di Salina. Grandi consumatori di malvasia erano i soldati inglesi che stazionavano a Messina, durante il periodo che va dai primi dell’800, al 1815. La Sicilia, infatti, era sfuggita al dominio napoleonico e, sotto l’influenza inglese, aveva adottato una Costituzione, proposta da Bentick, nel 1812. Dunque l’apprezzamento degli inglesi aveva fortemente incentivato l’esportazione di malvasia, facendo decollare l’economia dell’arcipelago. Ma la rovina era in agguato: la fillossera,il male della vite, si era diffusa in Europa, interessando anche la Lombardia e la Sicilia. Nella primavera del 1889, tramite fasci di canne che, adoperate per sostenere le viti, giunsero sull’isola, si diffuse l’epidemia, distruggendo il raccolto e provocando il collasso economico. Venute meno le principali risorse economiche dell’arcipelago, non restava altra soluzione che l’abbandono della propria terra in cerca di fortuna. Ebbe così inizio un massiccio esodo, indirizzato prevalentemente nel Sud America: molti trovarono lavoro come mozzi, sulle navi transoceaniche, contribuendo a pubblicizzare ed amplificare il mito dell’”american dream”, la speranza di un futuro migliore e costituendo catene di richiamo. Alcuni diventarono agenti di navigazione, reclamizzando il Nuovo Mondo per incrementare la vendita di biglietti. Molti, grazie alle capacità imprenditoriali, riuscirono far fortuna, inserendosi produttivamente nella nuova società.
Gli anni della prima ondata migratoria, tra la fine dell’800 e i primi del ’900, che vide, insieme con altre etnie, una massiccia presenza di Italiani e Liparesi a Buenos Aires, coincide con la nascita del tango, che, ai suoi esordi si diffonde proprio nei bassifondi e nella zona portuale della città, alimentandosi di una nuova sensibilità: la nostalgia della patria lontana, il dolore dello sradicamento, la pena di un amore lontano, resi dalle note struggenti del bandoneon. E nelle canzoni di tango la parola ricorrente è volver, ritornare.
Tango e dittatura La storia del tango si intreccia con quella del popolo argentino, cui ha dato identità. Ed è una storia tormentata e complessa, dalla conquista dell’indipendenza dalla Spagna, alla diffusione dei regimi populisti, alla cosiddetta decade infame degli anni 1930/40, al peronismo, alle dittature, alla recente crisi economica, ingiustificabile in un paese dalle grandi risorse e che per inettitudine e corruzione politica, si ritrova sul lastrico Ricorre quest’anno il trentennale dell’affermazione di un regime, che per violenza ed orrore è assimilabile all’esperienza europea del nazismo. Nel 1976, una giunta militare capeggiata da Jorge Videla assunse il potere, instaurando un periodo di repressione e di violenza sistematica contro ogni forma di dissidenza. Dal 1976 al 1983 almeno 30000 persone vengono trucidate o scompaiono. È la tecnica della desaparición: lugubri macchine nere senza targa, di notte, sequestrano gli oppositori, senza lasciare tracce. Nessun testimone. Il mondo non deve vedere. Nel silenzio ha inizio il più grande genocidio della storia argentina. Ma perché dopo la tortura e l'inumana prigionia le vittime non hanno avuto almeno il diritto a una condanna a morte? Alla sepoltura? Perché la distruzione dei corpi? Perché desaparecidos? Obiettivo strategico del progetto militare era la distruzione del passato. Ma un popolo senza passato non ha futuro. Solo il coraggio di ricordare redime, legittima la speranza che la tragedia non si ripeta, nunca mas… E il passato rivive nella memoria collettiva, nel coraggio della denuncia delle donne di Plaza de Mayo, nei processi, nelle condanne, nella poesia…
…“Anche se la lama ostile o quell’altra lama, il tempo, li ha fatti perder nel fango, oggi, più in là del tempo e della morte, quei morti rivivono nel tango” (El tango, J.Borges)
ConclusioneQuesti sono due possibili linee di sviluppo di tematiche di ampia valenza culturale, connesse al tango. La prima, l’emigrazione, è strettamente intrecciata alla storia delle Eolie, attingibile dalla ricca bibliografia sull’argomento, oggetto di studi e ricerche da parte esperti ed intellettuali, legati al territorio. La seconda, la dittatura, può rientrare in un più ampio percorso della storia universale, esaltando il ruolo della conoscenza e della memoria, come antidoto alla violenza e difesa dei valori della dignità umana e della libertà.
Lipari, settembre 2006 Enza Scalisi
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